martedì 26 maggio 2015

Abbinamento cibo e vino

La figura professionale del sommelier è indispensabile per interpretare il cliente e cercare di coniugarlo al piatto e al vino.
Ma cibo e vino... è davvero un abbinamento possibile?
All’Expo si è tenuto un interessante convegno moderato da Enzo Vizzari in occasione della inaugurazione del Padiglione Vino curato da Riccardo Cotarella.
Il Convengo ha cercato di focalizzare questa dicotomia crescente tra piatto e bicchiere che nella cultura mediterranea si sono sempre cercati per almeno tremila anni.
La conclusione, solo apparentemente paradossale, è nelle parole di Davide Oldani: mai bere mentre si mangia, ma tra un piatto e l’altro.
E allora gli abbinamenti, i consigli delle retroetichette delle bottiglie? i corsi dei sommelier?
Nella scelta del vino a tavola in primo luogo bisognerebbe assecondare il desiderio basato su parametri essenziali e istintivi: voglia di freschezza, bisogno di un buon corpo o anche di alcol, tentazione sgrassante delle bollicine.
Ergo se ho un piatto importante penso poco al vino; se ho una bella bottiglia penso poco al cibo.
Il piacere del bicchiere prescinde da quello che si mangia e viceversa.
Alcuni piatti hanno davvero bisogno di un bicchiere di vino? forse soltanto mentre li aspettiamo!


lunedì 25 maggio 2015

Il lato tenero del Sagrantino

 
L’ultimo decennio è stato caratterizzato dalla criminalizzazione dell’alcool in generale, un’ondata di disinformazione e superficialità da cui anche il vino, erroneamente accomunato ai superalcolici, si è trovato ad essere travolto, arrivando a pagare, spesso al posto di altri prodotti realmente dannosi, il prezzo di stili di vita e consumi poco attenti ed informati. Contestualmente, si è assistito però ad una crescente attenzione verso la conoscenza del patrimonio fenolico dell’uva e dei vini, in relazione alle potenziali attività salutistiche. In particolare dei flavonoidi, dal potere antiossidante, e degli stilbeni, che avrebbero addirittura il potere di bloccare e ritardare la cancerogenesi. Fanno parte rispettivamente del primo e del secondo gruppo, il resveratrolo e la quercetina, molecole bioattive dotate di potenzialità fitoterapiche, tra cui attività antiossidanti e anti-infiammatorie, che risulterebbero, tra l’altro, da 10 a 20 volte più potenti della vitamina E nel proteggere l’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità LDL, riducendo quindi la formazione di colesterolo cattivo e il rischio cardiovascolare. 
 
Esistono uve in grado di condensare ancora di più questo potere salutistico e una di queste è il Sagrantino, vitigno autoctono dell’Umbria, dove cresce principalmente nei territori che circondano il comune di Montefalco, in provincia di Perugia, coltivato su 670 ettari gestiti da circa 350 produttori. Il suo nome sarebbe riconducibile al latino sacer, sacro, poiché la pianta era coltivata dai monaci e il suo vino era utilizzato, oltre che per servire messa, anche per celebrare le varie ricorrenze religiose. La sua uva è una delle varietà più tanniche al mondo (i polifenoli sono pari a 4.174 mg per litro, quasi il doppio di altre varietà rosse) e una delle più ricche di antociani (circa 2040 mg/l, quasi il triplo del Sangiovese), classe di pigmenti idrosolubili appartenente alla famiglia dei flavonoidi, che conferisce al vino la sua intensità cromatica.
 
L’uva di Sagrantino è quindi un frutto sano e, cosa meno nota, estremamente dolce, visto che arriva ad avere un grado zuccherino molto elevato, pari a circa 260 grammi per kg, superando di gran lunga quello di tutte le altre uve. Eppure, se pensiamo al vino che se ne trae, quello che balza subito alla mente è la sua astringente tannicità, normalmente presa d’esempio anche nei nostri Corsi di Sommelier per far capire il concetto di “vino tannico”. Cos’è allora che avrebbe impedito a quest’uva di esprimere nel vino la propria naturale morbidezza? Semplice: il disciplinare. La Docg Sagrantino di Montefalco, attiva dal 1992, ha imposto infatti di limitare il residuo zuccherino a 3 g/l (si pensi che l’Aglianico del Vulture ammette fino a 10 g/l e il Primitivo di Manduria addirittura 18 g/l), costringendo i produttori a trasformare in alcol tutto lo zucchero presente nelle uve. Questo limite, che fa sì che ne nascano vini necessariamente robusti e molto caldi, ha indotto un piccolo gruppo di aziende del territorio a sperimentare una strada alternativa, ispirata alla vinificazione tradizionale del Sagrantino e vicina al carattere morbido e accogliente della regione umbra. Si tratta del progetto Vino e Salute, capitanato dalla cantina Signae e al quale aderiscono anche altre aziende della zona di Bastardo, comune del perugino, tutte dotate di tecnologie all’avanguardia in cantina, tra cui la criomacerazione, e che si impegnano nell’evitare l’uso di solfiti e della chimica di sintesi. Un progetto che mira ad andare oltre il Disciplinare e che permette al Sagrantino di esprimere anche il suo lato “tenero”: quella morbidezza data dalle uve raccolte a maturazione avanzata, che si fa protagonista di vini Igt come Rossobastardo (blend di Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon e Sagrantino raccolto surmaturo) e Benozzo (Sagrantino in purezza) della cantina Signae, ma prodotti secondo i medesimi crismi e uvaggi (con nome diverso), anche dalle altre cantine coinvolte nell’iniziativa.
 
Ma questa “riabilitazione” dell’uva Sagrantino non finisce qui e valica i confini del vino: una delle aziende, Campo della Maestà, ha infatti anche lanciato la produzione di confettura di Uva Sagrantino, ottenuta da uve di Sagrantino selezionate a mano e immediatamente lavorate, per dare risalto a fragranza, salubrità e naturale dolcezza del frutto. L’analisi cromatografica liquida ad alta prestazione (HPLC) del campione ha rilevato picchi relativi ai composti anticianosidici e polifenolici tali da aver indotto all’introduzione sperimentale della confettura anche in alcune mense ospedaliere, come alimento terapeutico, oltre al prossimo inserimento tra i prodotti salutari sugli scaffali delle farmacie. Un prodotto sano (contiene 90 g di frutta per 100g di prodotto), oltre che buono, che per la sua dolcezza non eccessiva, percorsa da piacevole acidità, lo vede compagno ideale di pecorini tipici umbri ben stagionati, magari abbinati ad un calice di Sagrantino di Montefalco Passito. Un esemplare della Docg davvero interessante, non a caso scelto per essere servito durante i viaggi papali a bordo della Classe Magnifica Alitalia, è il Seméle, anch’esso della cantina Signae. Rubino nel calice con unghia sfumata verso il granato, evidenzia al naso intensi profumi di prugna secca e in confettura, gelatina di frutti di bosco, datteri scuri, cannella e spezie dolci, avvolte da una costante sottofondo di erbe aromatiche e toni minerali. Ancora più ricco e sorprendente l’assaggio, che da un incipit dolce vira verso dinamici ritorni minerali e salini, disciplinati in chiusura da un tannino austero ma perfettamente integrato. Quello stesso tannino che finalmente trova la sua naturale ragion d’essere, se messo accanto al lato tenero del Sagrantino.
 
Montefalco Sagrantino Passito Semèle 2010
Tipologia: Rosso Dolce Docg - Uve: Sagrantino 100% - Gr. 14% - € 20 (0,375) - Bottiglie: 10.000 - Matura 15 mesi in acciaio e 18 in tonneau. Affinamento in vetro di 24 mesi.
 
Cantina Signae Cesarini Sartori
Loc. Purgatorio
06035 Torri di Barattano, Gualdo Cattaneo (PG)
Tel. 0742 99590
www.rossobastardo.it
info@rossobastardo.it

lunedì 18 maggio 2015

Itineris. Le vie della birra

Sembra proprio di rivivere questa storia millenaria curiosando nel Birrificio di Claudio Conti ospitato nei locali della “ Castellania” (una delle prime fabbriche di ceramica di Civita Castellana poi chiusa negli anni ’80). E’ il viaggio l’idea che ricorre frequentemente nei pensieri e nelle parole di questo simpatico ed appassionato produttore nativo di Nepi, in provincia di Viterbo: ricordo dei numerosi spostamenti diversi anni fa tra Piemonte e Lombardia alla scoperta dei primi birrifici artigianali. Poi la conoscenza e l’amicizia di personaggi importanti del settore come Lelio Bottero e Maurizio Cancelli. Consigli e suggerimenti preziosi che spingono Claudio a tornare a casa con la convinzione di intraprendere una nuova avventura in cui legare le esperienze acquisite al suo territorio di origine. Alla fine del 2010 nasce così il birrificio con le attrezzature più moderne ed un impianto ad alta fermentazione. Al momento vengono prodotti undici tipi di birra per un totale di circa 700 ettolitri annui con malti in prevalenza provenienti da Belgio e Germania. Civita Castellana, crocevia di strade dalla lunga storia, e il suo circondario, con il caratteristico paesaggio, l’arte e le sue spezie, sono al centro del progetto di questo birrificio chiamato appunto Itineris. Un progetto ed un racconto esemplarmente riassunti nei nomi e nella grafica delle etichette.
Nascono così la Cimina, tipica Weizen dalla schiuma bianca e persistente,  fresca e lievemente agrumata al gusto, per preparazioni delicate di pesce, l’Amerina, dai fini sentori di miele e arancia amara, leggera ed elegante, molto equilibrata, la Francigena, in tipico stile trappista, abbastanza morbida e di discreta persistenza, perfetta con la pasticceria secca . Il tracciato di queste vie di comunicazione dalla storia millenaria, riportato schematicamente sulle etichette, rimanda a tempi lontani i cui protagonisti erano viandanti e pellegrini in lento cammino tra rocche medioevali e monasteri. La centralità del territorio appare evidente anche nei nomi e nelle etichette della Infinity e della Falisca dove si richiamano, rispettivamente, il basolato cosmatesco della Cattedrale di Civita Castellana (con il simbolismo legato ai suoi splendidi cerchi concentrici di porfido) e l’Arco di Giove di Falerii Novi. La prima è un’interessante stout nera, speziata con cardamomo, anice stellato, chiodi di garofano e cannella , dalla schiuma fine e persistente e dal sapore orientato sulle note tostate da provare, come suggerisce Claudio, in abbinamento con i gamberoni alla griglia. Molto robusta ed aromatica la Falisca, lavorata solo con luppoli americani e speziata con zenzero, pepe rosa e finocchiella selvatica, ideale con salumi e formaggi. La Flaminia si caratterizza invece per i richiami al caffè e al cacao ma anche per il gusto maltato che tende leggermente all’amaro.
Protagoniste nella LaZIAale sono le spezie e le erbe del viterbese: una birra leggermente ambrata con un breve finale di miele amaro che nasce da un progetto condiviso con altri birrifici laziali. Tra le ultime nate la Treja dal nome del fiume che nel vicino Parco Regionale scorre tra mulini e cascate in un paesaggio particolarmente suggestivo. Lavorata con semi di canapa decorticata, mirto e pepe rosa, da luppoli inglesi, all’olfatto è decisamente speziata e di buona persistenza per un abbinamento ideale con le carni bianche. Nelle adiacenze dello stabilimento un piccolo pub con veranda esterna consente di degustare e apprezzare i prodotti di questa piccola ma interessante realtà. 

Il Timorasso FAUSTO 2012

 
 
Fausto Coppi, detentore del record di cinque vittorie del Giro d’Italia e due del Tour de France, è oramai entrato a far parte della leggenda ciclistica mondiale. Nacque a Castellania nel 1919, in provincia di Alessandria ed è proprio qui che Francesco Bellocchio dal 2003, nipote del Campionissimo, conduce l’azienda Vigne Marina Coppi dove da qualche anno affida alla doc di territorio, Colli Tortonesi, un Timorasso davvero interessante e meritevole di notorietà. Si chiama Fausto, in onore di suo nonno Fausto Coppi. Il nome dell’azienda Vigne Marina Coppi, invece, è dedicato alla figlia dell’Airone. La scelta dei vitigni storici piemontesi coltivati da Bellocchio, come Nebbiolo, Barbera, Croatina, Freisa, Favorita e Timorasso, esprime uno stretto legame con la tradizione. Inoltre la produzione si può definire artigianale: pochi ettari e tutto a conduzione familiare. La coltivazione, poi, vira verso il biologico censurando diserbanti e antibotritici.
Fausto e il Timorasso hanno in comune tra loro il fatto di essere dei veri e propri autoctoni del territorio. Il Timorasso è, appunto, un vitigno autoctono a bacca bianca della provincia di Alessandria, coltivato essenzialmente nelle Valli Curone, Grue, Ossona e in Val Borbera. Nei Colli Tortonesi è presente almeno dal Medioevo e viene citato nella prima enciclopedia agraria redatta dal bolognese Pier De Crescenzi nel XIV secolo. Vitigno difficile da gestire, vede una ridotta vigoria vegetativa e una maturazione piuttosto precoce, quindi è burbero e poco produttivo. Ha vissuto decenni di abbandono in nome di varietà più redditizie e riportato in auge, negli anni Ottanta, da vignaioli di grande talento, forti e coraggiosi come Walter Massa. Il Timorasso sa regalare sorprendenti potenzialità aromatiche e ha grandissime doti d’invecchiamento.

Il Timorasso Fausto 2012 è cresciuto e vissuto in un’ottima annata dal clima equilibrato ideale per mantenere integre le componenti aromatiche con mineralità e sapidità più piacevoli ed eleganti. Potente e gessoso ma anche elegante è il vino più rappresentativo al momento dell’azienda che lo ha visto salire per la prima volta quest’anno sul podio dei cinque grappoli. Paglierino carico con lampi dorati. Ha un naso seduttivo con profumi di acacia, tiglio, pesca bianca, poi resina e pietrisco. Al palato risulta tonico, vigoroso ma confonde la levità. Freschezza e innervature saline sono domate dal calore dell’alcol che insieme creano un’altalena di cuspidi arrotondate.