sabato 20 giugno 2015

In vino veritas


Il vino si può “udire”? 
Ha molto da dire e lo si può ascoltare attraverso le parole di chi viene abbondantemente innaffiato. Ne ha di parlantina, non lui, ma chi lo beve. 
Ma se il vino induce alla chiacchiera, generalmente non induce alla chiacchiera sul vino. 
Non si beve vino per passarne in rassegna i colori, i sapori, per enumerarne gli aromi, anche se i sommelier e le persone del settore lo fanno, ma è una licenza concessa solo a loro, perché loro degustano.
Il vino, in verità, è conversazione, in qualsiasi modo sia interpretato, è dialogo. Il vino è “il fiorire vegetativo della conversazione” diceva Kierkegaard e bastano uno o due bicchieri per sciogliere le briglie alla lingua.


 

In vino veritas: nel vino c’è la verità. Il vino slaccia, slega, scioglie e una parte di verità c’è in questo proverbio latino, anche se oggi, appare un po’ riduttivo. Infatti, oggi non si può più pensare che l’uomo sia perennemente inibito nell’espressione delle proprie emozioni che si allentano con un bicchiere di vino mezzo pieno o mezzo vuoto. Però, il vino fa uscire da noi stessi verità nascoste, ambigue, a volte terribili. Fa dire sempre di più di ciò che si vuol far sapere. È per questo motivo che esistono gli astemi? L’astemio è colui che non beve vino o altro alcol, mai, per nulla al mondo, per nessun motivo, senza compromessi. Ecco cosa ne pensava Baudelaire: “Non è ragionevole pensare che le persone che non bevono mai vino, per istinto o per calcolo, sono degli imbecilli o degli ipocriti?



Chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere”. Gli astemi sono coloro che si astengono da bere vino per proteggersi, è certo, ma così facendo non capiscono che rinunciano a loro stessi, segregano la propria anima, pentendosene alla fine. E noi bevitori o degustatori di vecchio stampo, quando incontriamo un astemio siamo sempre pronti a chiedergli il perché o il significato di tanta mortificazione; a che scopo chiudersi a tal punto? Gli astemi non si concedono, non si donano. Rinunciano a rendere libera la propria inibizione così cucita, stropicciata. Bere per disinibirsi, sentirsi liberi di dire e provare ma l’astemio si sente libero di suo e non vuole provare nulla e forse ha ragione lui. Bere non rende necessariamente più felici ma si sa dove si va: si va altrove ma attenzione, l’alcolismo è un vizio, un’intossicazione, una peste contemporanea.

Degustare e non bere è più giusto, più esatto ed è un valore aggiunto alla nostra cultura. Degustare, dunque, perché se si è in grado di godere di una buona bottiglia di vino, si gestirà meglio il controllo degli impulsi. L’abuso di alcol rappresenta l’esatto contrario. Si ha difatti difficoltà a controllare i propri impulsi riducendo l’auto-controllo. Tutto ciò è negativo sia per il corpo sia per la mente. Per il corpo è negativo perché alcune ore dopo si soffre di mal di testa, ottundimento, mal di stomaco e, a lungo andare, si hanno problemi al fegato e altro. Per la mente, invece, è negativo per il senso di colpa che si può provare, per aver detto o fatto qualcosa che non si sarebbe mai detto o fatto nemmeno sotto tortura. Essere disinibiti, spesso, può portare a pentimento. Il vino non lo fa, anzi, può aiutare a rilassare, a decontrarre i muscoli del collo, ad alleggerire gli animi in circostanze un po’ “tirate”, ad essere un filo più audaci e a relazionarsi in situazioni social-mondane. Oppure semplicemente può aiutare ad alleggerire le tensioni di una giornata intensa di lavoro. Bisogna gratificarsi ogni tanto, anche a casa, da soli, con una buona bottiglia di vino senza che si raggiunga l’annullamento della coscienza. Bisogna iniziare a bere vino come filosofia di vita, come piacere di vita tanto da farne un’altra forma di gioia.

sabato 13 giugno 2015

Oscar del Vino 2015

Sono commosso, emozionato, per questo riconoscimento, perché il mio Taurasi si trova in mezzo a un Barolo e un Amarone, due grandi vini italiani. L’Oscar lo voglio dedicare a tutto il territorio e alla città di Taurasi, sarà uno stimolo per tutti”. Queste le parole di Antonio Caggiano, durante le premiazioni dell’Oscar del Vino 2015 Premio Internazionale del Vino, lo scorso 6 giugno.
L’Oscar del Vino è una festa di donne e uomini, non solo del vino; un evento scandito da sentimenti, emozioni, attese e commozione, come quella di Antonio Caggiano e degli altri premiati.
L’Oscar del Vino non è quindi un punto di arrivo ma un blocco di partenza: un momento di gioia condivisa, un’attestazione di stima e di valore che parte dal vino, dalla Grappa o dall’olio per arrivare all’anima dei protagonisti, i quali, a loro volta, la estendono al proprio gruppo di lavoro, alla propria cantina o frantoio che sia, sin dentro il territorio stesso in cui operano.
 
 
 
“Il vino prepara i cuori e li rende più pronti alla passione”. Così declamava il poeta latino Ovidio, verso che introduce le premiazioni e proprio la passione “è la parola giusta, perché la serata sarà piena di emozioni e di premiazioni”. Queste ultime le parole che hanno aperto la diciassettesima edizione dell’Oscar del Vino, pronunciate dalla conduttrice Andrea Delogu, coadiuvata durante tutta la serata da una giuria semiseria, composta da Fede e Tinto di Decanter e lo chef Cesare Marretti, che ha interagito con i nominati, aperto le buste degli Oscar e annunciato i vincitori alla platea, oltre, ovviamente, al “padrone di casa” Franco Maria Ricci, ideatore dell’Oscar del Vino, che ha regalato, come sempre, contenuti e spettacolo all’evento.

Tutto comincia con il Miglior Vino Bianco, categoria in cui sarà premiato il vino di Tasca d’Almerita e lo stesso conte Lucio Tasca, una volta sul palco, con l’Oscar in mano, terrà a precisare di non essere conte ma contadino e preferire di essere tale. Miracolo della terra, penserete, o del vino; niente di tutto questo perché l’Oscar mette a nudo le personalità di questo mondo, sebbene la sera del 6 giugno fossero tutti in smoking o in abito da sera, rendendole semplicemente uomini o donne. La testimonianza di Lucio Tasca è anticipata da quelle di Lorenzo Pellegrini di Cataldi Madonna, nomination nella categoria con il Pecorino, il quale dal racconto della sua azienda e della vera o presunta moda del vino Pecorino, passa quasi sorprendentemente a quello del territorio e lì ci si accorge che molti produttori sono più innamorati della terra in cui operano rispetto alle loro stesse aziende. Un altro miracolo del vino, forse, non ne siamo certi, ma ci piace pensarlo. Dopo aforismi, battute, battibecchi e gag della giuria semiseria, protagonista come se fosse una sorta di voce fuori campo della serata, arrivano le nomination per il miglior vino rosato e anche qui,  Nino Bevilacqua, ingegnere colpito dalla freccia di Bacco, non Cupido, racconta con aria quasi sognante la bellezza e gli sforzi dell’allevamento della vite in quel mondo che si chiama Etna: isola nell’isola e primordiale fonte di energia e vita, come evidente nella complessità e nella ricchezza dei vini prodotti, inclusi gli spumanti rosati.


“Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro e un buon amico”. Aforisma di Molière che introduce il passaggio dai vini all’enologo, così il Premio Internazionale del vino 2015 va a una vera istituzione del vino: Donato Lanati. Conosciuto come l’enologo scienziato, per un approccio analitico alla produzione, fatto di ricerche e studi condotti da Enosis, centro all’avanguardia da lui stesso creato in quel di Fubine (Alessandria), Lanati sorride sul palco, ma è emozionato e quando gli viene domandato cosa fa esattamente l’enologo, risponde in maniera quasi estatica che, in fondo, l’enologo asseconda la natura, palesando un rapporto intimo e inimitabile, ma ogni anno sempre diverso, tra vite e uomo. Durante le nomination per la migliore azienda agricola poi, Jacopo Biondi Santi sembra il più emozionato di tutti. Jacopo Biondi Santi ha l’aria di un ragazzo impaziente e lo sarà ancora di più in occasione del conferimento del Premio Speciale della Giuria alla sua azienda circa un’ora più tardi, a conclusione delle premiazioni, dove ringrazierà tutti, visibilmente commosso e ancora con lo stesso sguardo da ragazzo di campagna. Tornando alla categoria dell’Oscar alla Migliore Azienda, da sottolineare le parole d’amore per il Sulcis di Antonello Pilloni, Presidente della premiata cantina Santadi, esempio di efficiente e indispensabile cooperazione in una terra tanto affascinante quanto difficile per quel che concerne il mondo del lavoro. Tra un aforisma e l’altro si arriva al Premio Speciale della Giuria per Albano Carrisi, cantante vignaiolo, o meglio, come lui ama dire: “ci sono due Albano, uno è cantante, l’altro è contadino vignaiolo, stasera qui c’è solo il secondo, il più importante. L’Albano cantante - continua - ha permesso all’Albano vignaiolo di esistere ed esprimersi”. Il cantante di Cellino San Marco è un portavoce importante e noto del vino italiano, un nostro amico e soprattutto una voce cristallina che, per citare Luigi Veronelli, contribuisce a fare del vino “il canto della terra verso il cielo”. La categoria per il miglior vino spumante premia ancora un vino e una cantina del Mezzogiorno, aspetto che viene sottolineato con orgoglio da Antonio Capaldo di Feudi di San Gregorio. È poi il momento dell’informazione, ovvero l’Oscar per la Migliore Comunicazione Televisiva del Vino. A raccogliere il premio, anche qui visibilmente emozionati e commossi, il Direttore e il Vicedirettore del Tg2, rispettivamente Marcello Masi e Rocco Tolfa, quest’ultimo nostro valente allievo del BIBENDA Executive Wine Master. Arriviamo quindi al Miglior Vino Rosso, dove gli applausi, una volta ricevuto il premio, sono tutti per Antonio Caggiano e le sue parole, con cui abbiamo aperto questo resoconto. Inaspettato, alla luce dello stupore di Franco Fierli, enologo di Tenute del Cerro il premio nella categoria Miglior Vino di Grande Qualità Prezzo con il Vino Nobile di Montepulciano 2011.
 
“Su questa bottiglia ci puoi scrivere quello che ti pare dedicarla a chi vuoi e poi se cambi idea cancellare tutto”. È Alessandro Ceci a dire queste parole, quello dei due baci, che racconta il suo Bolle di Lambrusco To You (bottiglia interamente di grafite nera con gessetto incorporato), premiato nella categoria Miglior Etichetta con Miglior Vino. Giovanni Manetti, patron di Fontodi, è invece il protagonista dell’Oscar per il miglior Vino Dolce, con il suo Vinsanto e a tal proposito a tenuto a raccontare come questo vino rappresenti l’anima intima del Chianti Classico e simbolo dell’ospitalità della gente chiantigiana: “anche chi non fa vino spesso ha comunque una piccola produzione personale di Vinsanto”, ha dichiarato. Dal vino alla Grappa, con uno dei signori del nostro distillato bandiera, quel Roberto Castagner che ha completamente riscritto le regole di produzione di questo spirito e ha orgogliosamente dichiarato sul palco, con l’Oscar per la Migliore Grappa ben stretto a sé, di essersi elevato nella distillazione, rispetto alla sua prima occupazione di enologo, a riprova di come la Grappa non sia un prodotto di seconda scelta rispetto ai più blasonati distillati stranieri. Commosse e profonde poi le parole di Marina Gioacchini, premiata per il Miglior Olio del Raccolto 2014, che ha subito ringraziato la Fondazione Italiana Sommelier per l’attenzione riservata al mondo dell’olivicoltura di qualità e ha dedicato l’Oscar a suo padre, scomparso proprio durante l’ultimo raccolto.
 
Dall’olio di oliva alla ristorazione, alle enoteche e alla promozione del vino. Antonio Del Curatolo, patron del ristorante Le Lampare al Fortino di Trani e Oscar Miglior Ristorante con Migliore Carta dei Vini, ha rimarcato l’importanza dei vini nell’esaltare la cucina: un fil rouge unico che è la quintessenza del piacere a tavola. Luca Castelletti, dell’Enoteca Al Ponte di Bergamo e vincitore del Premio per la Migliore Enoteca, ha invece ricordato come la qualità dell’offerta e la professionalità paghino sempre, mentre Cristiana Lauro, che si è aggiudicata il Premio Internazionale del Vino Promoter Brand Manager, ha ribadito l’importanza di creare relazioni e contatti per far conoscere prodotti, aziende e territori. Web in fundo, sarebbe il caso di dire, parafando la locuzione latina, con il Premio Speciale della Giuria a giallozafferano.it, il portale di ricette più cliccato in Italia con oltre 18 milioni di contatti al mese: un vero e proprio must, sulla rete, della comunicazione gastronomica. Contento ed emozionato, ha ritirato il premio Andrea Santagata, amministratore delegato di Banzai Media, società proprietaria del sito. In realtà l’ultima premiazione è toccata alla cantina Biondi Santi Tenuta Greppo, un altro Premio Speciale della Giuria di cui abbiamo scritto in precedenza. Tutto poi si è letteralmente sciolto in una favola, quella del vino, scritta e interpretata dall’attrice Elisabetta Salvatori. Un racconto che, come in ogni favola che si rispetti, ha letteralmente fermato il tempo, regalando un’emozione in gesti e parole narrata in un’altra favola, quella degli Oscar del vino, nella notte delle stelle.