lunedì 27 aprile 2015

Bollicine. Spumante e Champagne

 
 
 
 
 
 
Franciacorta Extra Brut EBB 2007 Il Mosnel.
 
EBB sta per Emanuela Barzanò Barboglio, madre di Lucia e Giulio, attuali proprietari dell'azienda. Uno Chardonnay in purezza che vede solo il mosto fiore (il succo separato per primo) destinato al Franciacorta EBB. La fermentazione primaria avviene in barrique dove sosta 5 mesi fino alla primavera successiva quando c'è l'imbottigliamento, dopodiché parte la seconda con la rifermentazione in bottiglia per 36 mesi sui lieviti prima di diventare Extra Brut. Un Franciacorta austero, ammiccante infinito nel quale si possono cercare mondi sconosciuti e sogni fantastici ma che si lascia bere con facilità, come vuoi tu. Si apre con personalità, si dona con gentilezza e tu stai lì, sorso dopo sorso, nella rilassatezza totale dei brividi di piacere che lui sa regalare. Perlage fine e continuo in un bel color oro. Miele, biscotti e marzapane, poi agrumi e nocciole. L’assaggio ha volume e profondità reso vibrante da una sapidità sostenuta e da una freschezza giusta e mai invadente.
 
 
 
 
 
 
Champagne Brut Nature Dosage Zero Drappier.

 Le cantine della Maison sono state costruite nel XII secolo mentre l’albero genealogico risale al XVII secolo. Champagne puro, senza trucchi, senza l’aggiunta della liqueur d’expédition e con solo 2 g/l di zucchero di residuo naturale. Non è uno Champagne cui le bollicine assomigliano a pensieri vaporosi o alla leggerezza di risate. Lui ha struttura, lui è carnalità, lussuria; ha carattere perché Pinot Noir al 100%. Non è uno Champagne fugace, di pronta beva che scioglie gli animi e infervora la lingua a ricamare all’infinito le nefandezze del mondo. Ci si sofferma piuttosto, dopo la prima deglutizione, a capirne la morbidezza e la spinta acida che riescono a rendere elastico il suo ingresso nel palato. Ha un incarnato ramato e piacevoli toni minerali, speziati e di cassis. I Dosage Zero sono vini un po’ più striduli, secchi meno propensi a scendere a compromessi, caratteriali, vanno presi per il verso giusto e al momento giusto. Ci vuole tempo per capirli, ovvio che una volta capiti, non si lasciano andar via facilmente.
 
 
 
 
 

lunedì 20 aprile 2015

Il Cannonau, il notaio e il “finto” Grenache

 

 
 
 
 
 
 
 
 
Correva l’anno 1549 e a Cagliari il notaio Bernardino Coni ratificava un atto di successione in cui, tra i beni del de cuius, veniva annoverata una vigna a Cannonau, con relativa produzione di vino. Apparentemente nulla di strano, tanti gli atti di questo genere in cui si trasferivano vigneti, cantine, botti e vino. Ciononostante questo semplice documento rappresenta oggi la prova, storico-archivistica, di uno dei più diffusi errori dell’ampelografia nazionale: l’identità tra i vitigni Cannonau e Grenache. Cerchiamo allora di investigare e capire cosa è realmente accaduto e quindi la genesi del malinteso. Il nostro viaggio comincia così in Spagna, patria del Garnacha o del Grenache, per dirla alla francese, perché è proprio qui che nasce il malinteso. Il Garnacha deriverebbe infatti dal Cañocazo e non dal Canonazo, che aveva fatto pensare al legame con Cannonau già alla fine dell’Ottocento, come evidente nel lavoro del grande agronomo sardo Sante Cettolini, entrambi comunque vitigni originariamente a bacca bianca e il Cañocazo ancora presente, benché in minime quantità, in Andalusia. A questo punto il mistero si infittisce ancora: perché confondere un’uva bianca con una rossa? In realtà anche le primissime uve di Garnacha, nel Seicento, erano perlopiù bianche e lo stesso conte Giuseppe di Rovasenda, uno dei padri dell’ampelografia nazionale, nel trattare il Canonazo di Xeres si riferisce a un’uva a bacca bianca. Il mistero poi diventa ancora più intricato e per comprendere meglio quella che sembra essere una serie di errori non voluti con effetto a cascata, dobbiamo tracciare una breve storia della Garnacha. Questa compare nei lavori del Cervantes, l’agronomo spagnolo e non lo scrittore, con una datazione intorno al 1613, quindi successiva al 1549, anno dell’atto notarile di Cagliari dove compare il Cannonau. In più, come ci fa rivelare il Gianni Lovicu, ricercatore di Agris Sardegna a cui si deve tutta questa ricostruzione storica in merito alle origini del Cannonau, “la prima citazione del Garnacha tinto in Spagna è in un dizionario del 1734, mentre le attestazione di produzione in Sardegna di vino Cannonau risalgono quindi a circa 200 anni prima”. Diversi testi spagnoli infine, redatti da Eduardo Abela y Saiz de Andino e prima ancora dal Valier, risalenti al 1885, raccontano che, nella seconda metà dell’Ottocento, il Garnacha è il vitigno più giovane tra quelli impiantati in Aragona. Nello stesso periodo l’uva, rossa questa volta e non più bianca come quella delle origini, si diffonde in tutta la Spagna perché molto resistente all’oidio, piaga dell’epoca in tutta la penisola iberica. Concludendo, i due vitigni, benché caratterizzati da alcune somiglianze, sarebbero due cose diverse, tesi sposata anche nel recente (2014) volume “Native Wine Grapes of Italy” (I vitigni originari d’Italia) di Ian D’Agata, tomo di grande valore nella bibliografia dell’ampelografia nazionale non solo nel mondo anglosassone. Alla voce Cannonau, nel volume di D’Agata, dopo la storia dettagliata delle fonti spagnole e non, viene sposata la tesi di Lovicu, ovvero l’origine più antica del vitigno sardo che sarebbe così un’uva differente rispetto al Grenache, più tarda ed “esplosa” nella stessa Spagna grazie al diffondersi dell’oidio. Non abbiamo in questa sede volutamente trattato le tante analisi del DNA, che hanno contribuito, contrariamente ad altre circostante, a intorbidire viepiù le acque, giacché alcune hanno mostrato identità tra Grenache e Cannonau e altre, al contrario, fondamentali differenze. Ci fidiamo di più, in questo caso delle fonti storiche, documentali e degli atti notarili che, come sapete, difficilmente si sbagliano. 
 
 
Non rimane quindi che stappare una bottiglia di Cannonau, nella fattispecie il Cannonau di Sardegna Chuèrra Riserva di Jerzu, millesimo 2011. La Cantina di Jerzu è uno dei simboli di questo vino e di questa uva. Nata nel 1952, raccoglie oggi 430 viticoltori che lavorano 750 ettari per una produzione annua di 1 milione e 800mila bottiglie, tutte ad alto tasso di territorialità. Tornando al nostro Cannonau 2011 (80mila bottiglie e 14 euro il prezzo medio in enoteca), questo si presenta di un bel colore rubino con cenni violacei. L’olfatto è pura terra d’Ogliastra, con toni balsamici ed erbacei in bella mostra che declinano mirto, ginepro, santoreggia e timo serpillo. In seconda battuta le note fruttate di ribes nero e more che lasciano il campo ad anice, lievi tostature (maturazione per 8 mesi in tonneau), pepe e ancora corteccia e foglie secche. Morbido e caldo in bocca come solo il Cannonau sa essere. Sapido e terroso sin nella sua più intima essenza, discreta la freschezza e docili i tannini. Retrolfatto coerente con il naso: balsamico, fruttato, speziato e profondamente sardo. 
 
 
 
 


venerdì 10 aprile 2015

Lo Champagne ufficiale del Titanic. l’Heidsieck & Co. Monopole Blue Top Brut

 
 

 
 
 
 

Northam è un sobborgo popolare nella parte settentrionale di Southampton, Hampshire, Regno Unito. Percorrendo Britannia Road, una volta passato il St.Mary Stadium, culla dei Saints, soprannome della squadra di calcio del Southampton, e imboccata la Marine Parade, dopo circa un chilometro ci si trova nell’Ocean Village, modaiolo quartiere con annesso porto turistico, proprio acanto allo storico porto della “capitale” dell’Hampshire. Dai moli di quest’ultimo, a mezzogiorno del 10 aprile del 1912 salpò il transatlantico Titanic che, ancor prima di lasciare le acque di Southampton, rischiò una prima disastrosa collisione con il piroscafo New York che percorreva il medesimo tratto di mare. Segnale del disastro penserete, più semplicemente una fatale coincidenza in acque, sin dall’epoca, molto trafficate. Allora Southampton contava 100mila abitanti e, dopo l’inabissamento del transatlantico, una casa su quattro fu colpita da almeno una perdita, soprattutto nel sobborgo di Northam, da dove proveniva il grosso dell’equipaggio e dei facchini. A 103 anni dalla partenza del tragico viaggio ci piace ricordare i tanti momenti gioiosi, bagnati da molti e diversi vini, ma perlopiù dallo Champagne ufficiale del Titanic, l’Heidsieck & Co. Monopole Blue Top Brut.

 

Fondata nel 1785 da Florens-Louis Heidsieck, la maison rappresenta il capostipite dei diversi Champagne Heidsieck, tutti indipendenti tra loro. Considerato tra i migliori prodotti di Épernay, questo Champagne inondava le corti dei sovrani di Prussia, Svezia, Inghilterra e Russia: celebri gli ordini dello zar Nicola II che valevano 400mila bottiglie l’anno. Tanto grande era infatti la passione dei russi per questo Champagne che nel 1916, un ordine di 3mila bottiglie per l’esercito imperiale diretto a San Pietroburgo e caricato sul vascello Jönköping si inabissò nel Mar Baltico dopo l’abbattimento dell’imbarcazione da parte di un sottomarino tedesco. Nel luglio del 1998, una spedizione subacquea svedese ritrovò, sulla punta orientale del Baltico a 64 metri di profondità, il relitto del Jönköping, portando poi a galla 2.400 bottiglie di Champagne Heidsieck & Co Monopole millesimo 1907, perfettamente conservate. Poseidone sembrerebbe gradire i vini di questa maison che, battute a parte, è oggi di proprietà del Gruppo Vranken-Pommery ed elabora Champagne perlopiù da Pinot Noir, generalmente il 70% della cuvée, seguito da Chardonnay al 20% e Pinot Meunier per la restante porzione. L’odierno Blue Top non è molto diverso da quello consumato nel Titanic, e segue la “ricetta” della maison, con uve provenienti dai migliori cru di Tour sur Marne. La permanenza sui lieviti, dopo la presa di spuma, è di 36 mesi e sin dal primo assaggio mostra quel connubio di forza e finezza tipico delle vigne di questa zona, a ovest di Épernay, proprio sotto Bouzy, e del Pinot Noir. Nel calice è paglierino con riflessi oro verde, smagliante e perfetto nella sua estrema limpidezza. L’olfatto è delicatamente floreale, con cenni di glicine e sambuco, poi prende forza una vena fruttata che ripercorre aromi di uva spina, cedro e pesche bianche che lasciano via via il campo a burro e biscotteria secca. Non primeggia per potenza aromatica ma conquista per l’equilibrio degli aromi, mai gridati, sussurrati piuttosto, ma sempre ben scanditi. Lievemente più decisa la bocca: fresca, sapida, di struttura agile, fine e sostanzialmente coerente, al retrolfatto, con i sentori della via diretta. Dissetante nel finale il ritorno di cedro che incentiva ulteriormente l’assaggio. Non è uno Champagne Top, ma sicuramente tra quelli con il miglior rapporto costo valore, grazie a un prezzo in enoteca sempre sotto i 30 euro. Uno Champagne veramente per tutti, con una storia importante alle spalle e tanti aneddoti, tra cui, la presenza sul transatlantico più famoso del mondo che vogliamo ricordare nella gioia e nell’euforia della partenza, quel 10 aprile di 103 anni fa, quando alcuni dei 1.300 passeggeri del Titanic stringevano in mano un calice di Champagne Heidsieck & Co. Monopole Blue Top. 

 

sabato 4 aprile 2015

Barbera d'Asti Superiore Alfiera 2006 di Marchesi Alfieri

 
 



Ci sono grandi vini che graffiano il territorio e lo esprimono attraverso l’eleganza e la bellezza della loro anima e lo porgono così com’è, senza indugi. La Barbera di questa settimana ne è un esempio, una conferma, una dottrina. È il caso della Barbera d’Asti Superiore Alfiera 2006 di Marchesi Alfieri (annata per la quale non era stata ancora riconosciuta la Docg, raggiunta nel 2008; si tratta quindi di un vino Doc). Cantina storica che ha sede nel castello di San Martino Alfieri sulle colline del Piemonte tra Asti e Alba. A produrla dal 1990, sono tre sorelle, Emanuela, Antonella e Giovanna San Martino di San Germano coadiuvate, dal 1999, dal bravo enologo e direttore, Mario Olivero. L’azienda, condotta dal 1985, ha però una storia antichissima di vendemmie che risale al 1337, anno in cui, documenti di famiglia attestano l’esistenza di vigneti sui terreni di San Martino. Il vino, fatto da uve Barbera in purezza proviene da un vigneto, un “sorì” antico di 4 ettari piantato nel 1937. Il nome deriva dalla cascina sovrastante la collina denominata Alfierina. La vendemmia 2006 è stata la tipica piemontese con frutto preciso che mantiene negli anni personalità e un ottimo equilibrio al naso e al palato esprimendo una certa mineralità. Raccolta manuale delle uve, fermentazione sulle bucce in vasca di acciaio alla temperatura di 28°-30° per 15-20 giorni con délestage e leggeri rimontaggi. Fermentazione malolattica in legno con bâtonnage. L’affinamento avviene in barrique di rovere francese (Allier e Tronçais) da 225 e 500 litri per 18 mesi; in bottiglia per 6-8 mesi a temperatura controllata di 15° C prima della messa in commercio.

Complesso e debordante nei profumi e nella beva. Caldo, armonioso, avvolgente. L'impatto di scorza d'arancia al cioccolato fondente mista a note boisé fa entrare in una dimensione irreale. Poi tostatura di caffè e le fave del caffè con tanta cioccolata amara stesi su un tappeto umido dove cogli i frutti di bosco, quelli neri, scuri come la pece. Anche il suo incarnato rubino è impenetrabile, coeso. Si espande, dopo, al palato; prima bussa un po’ sferico con i suoi tannini vellutati, poi entra caparbio e con un carattere che non dimentichi. Lui c’è e imprigiona anche il retrogusto con un fruttato accondiscendente e nobili sensazioni torrefatte. Un vino che prende vita da vigne vecchie di oltre settant’anni, ha dalla sua parte tempo, storia e poesia lunga e infinita. Le parole d’ordine sono bellezza e austerità.