
Correva l’anno 1549 e a Cagliari il notaio Bernardino Coni ratificava un atto di successione in cui, tra i beni del de cuius, veniva annoverata una vigna a Cannonau, con relativa produzione di vino. Apparentemente nulla di strano, tanti gli atti di questo genere in cui si trasferivano vigneti, cantine, botti e vino. Ciononostante questo semplice documento rappresenta oggi la prova, storico-archivistica, di uno dei più diffusi errori dell’ampelografia nazionale: l’identità tra i vitigni Cannonau e Grenache. Cerchiamo allora di investigare e capire cosa è realmente accaduto e quindi la genesi del malinteso. Il nostro viaggio comincia così in Spagna, patria del Garnacha o del Grenache, per dirla alla francese, perché è proprio qui che nasce il malinteso. Il Garnacha deriverebbe infatti dal Cañocazo e non dal Canonazo, che aveva fatto pensare al legame con Cannonau già alla fine dell’Ottocento, come evidente nel lavoro del grande agronomo sardo Sante Cettolini, entrambi comunque vitigni originariamente a bacca bianca e il Cañocazo ancora presente, benché in minime quantità, in Andalusia. A questo punto il mistero si infittisce ancora: perché confondere un’uva bianca con una rossa? In realtà anche le primissime uve di Garnacha, nel Seicento, erano perlopiù bianche e lo stesso conte Giuseppe di Rovasenda, uno dei padri dell’ampelografia nazionale, nel trattare il Canonazo di Xeres si riferisce a un’uva a bacca bianca. Il mistero poi diventa ancora più intricato e per comprendere meglio quella che sembra essere una serie di errori non voluti con effetto a cascata, dobbiamo tracciare una breve storia della Garnacha. Questa compare nei lavori del Cervantes, l’agronomo spagnolo e non lo scrittore, con una datazione intorno al 1613, quindi successiva al 1549, anno dell’atto notarile di Cagliari dove compare il Cannonau. In più, come ci fa rivelare il Gianni Lovicu, ricercatore di Agris Sardegna a cui si deve tutta questa ricostruzione storica in merito alle origini del Cannonau, “la prima citazione del Garnacha tinto in Spagna è in un dizionario del 1734, mentre le attestazione di produzione in Sardegna di vino Cannonau risalgono quindi a circa 200 anni prima”. Diversi testi spagnoli infine, redatti da Eduardo Abela y Saiz de Andino e prima ancora dal Valier, risalenti al 1885, raccontano che, nella seconda metà dell’Ottocento, il Garnacha è il vitigno più giovane tra quelli impiantati in Aragona. Nello stesso periodo l’uva, rossa questa volta e non più bianca come quella delle origini, si diffonde in tutta la Spagna perché molto resistente all’oidio, piaga dell’epoca in tutta la penisola iberica. Concludendo, i due vitigni, benché caratterizzati da alcune somiglianze, sarebbero due cose diverse, tesi sposata anche nel recente (2014) volume “Native Wine Grapes of Italy” (I vitigni originari d’Italia) di Ian D’Agata, tomo di grande valore nella bibliografia dell’ampelografia nazionale non solo nel mondo anglosassone. Alla voce Cannonau, nel volume di D’Agata, dopo la storia dettagliata delle fonti spagnole e non, viene sposata la tesi di Lovicu, ovvero l’origine più antica del vitigno sardo che sarebbe così un’uva differente rispetto al Grenache, più tarda ed “esplosa” nella stessa Spagna grazie al diffondersi dell’oidio. Non abbiamo in questa sede volutamente trattato le tante analisi del DNA, che hanno contribuito, contrariamente ad altre circostante, a intorbidire viepiù le acque, giacché alcune hanno mostrato identità tra Grenache e Cannonau e altre, al contrario, fondamentali differenze. Ci fidiamo di più, in questo caso delle fonti storiche, documentali e degli atti notarili che, come sapete, difficilmente si sbagliano.

Non rimane quindi che stappare una bottiglia di Cannonau, nella fattispecie il Cannonau di Sardegna Chuèrra Riserva di Jerzu, millesimo 2011. La Cantina di Jerzu è uno dei simboli di questo vino e di questa uva. Nata nel 1952, raccoglie oggi 430 viticoltori che lavorano 750 ettari per una produzione annua di 1 milione e 800mila bottiglie, tutte ad alto tasso di territorialità. Tornando al nostro Cannonau 2011 (80mila bottiglie e 14 euro il prezzo medio in enoteca), questo si presenta di un bel colore rubino con cenni violacei. L’olfatto è pura terra d’Ogliastra, con toni balsamici ed erbacei in bella mostra che declinano mirto, ginepro, santoreggia e timo serpillo. In seconda battuta le note fruttate di ribes nero e more che lasciano il campo ad anice, lievi tostature (maturazione per 8 mesi in tonneau), pepe e ancora corteccia e foglie secche. Morbido e caldo in bocca come solo il Cannonau sa essere. Sapido e terroso sin nella sua più intima essenza, discreta la freschezza e docili i tannini. Retrolfatto coerente con il naso: balsamico, fruttato, speziato e profondamente sardo.