Temperatura costante e pochissima luce. La nuova tendenza dell’enologia scommette su un affinamento fino a 52 metri di profondità, fra Sardegna, Emilia-Romagna e Liguria.
Per vini e champagne con il finale salato di un tuffo fra le onde del mare.
Nel 2010 Dominique Demarville, maestro di cantina per Veuve Clicquot, seppe del ritrovamento di 168 bottiglie naufragate al largo del mar Baltico insieme alla nave che le trasportava, 170 anni prima. All’assaggio, lo stupore; lo champagne era ancora perfetto. Il mare si era rivelato un ambiente ideale per la conservazione di aromi e perlage: temperatura costante tra i 13 e i 15 gradi, pochissima luce, correnti che cullano il vino. Non era la prima volta che venivano recuperate dal mare bottiglie di pregio: nel 1998 ne furono ripescate – e vendute all’asta a prezzi da capogiro – circa duemila, ordinate nel 1916 dallo zar Nicola II e mai arrivate, perché la nave fu affondata da un sottomarino tedesco. Dopo il recupero del 2010, però, grandi Maison, tra cui Louis Roederer, la stessa Veuve Clicquot e Hostomme, con il suo prezioso Abysse, hanno iniziato a sperimentare l’affinamento sottomarino e il fascino di bottiglie con incrostazioni marine che arricchiscono il vetro di una patina romantica e vissuta, come in una storia di pirati.
A celebrare cotanta straordinarietà la degustazione organizzata da Associazione Italiana Sommelier a Vinitaly. Un’orizzontale sulla linea non degli anni, ma dei metri di profondità, che ha accomunato vitigni e metodi di produzione diversi, tutti affinati sotto l’acqua salata.
Cloe Marie Kottakis Underwater -52, come i metri di profondità, bollicine francesi, un Blanc de Noirs (Pinot Nero
in purezza) della Côte des Bar e si perfeziona nelle acque
di Portofino: nasce quindi dalla collaborazione tra i viticultori francesi e Jamin, titolare dell’unica concessione in area marina protetta di Portofino. Jamin ha creato la cantina sommersa e il brevetto di un sughero che permette l’ossigenazione, ma non la contaminazione. Privilege 18 mesi: un trionfo di mela rossa, pera, torrone, con tocchi di minerale e salmastro. Sarà una suggestione, ma la sapidità finale sembra proprio quella che rimane in bocca dopo un tuffo in mare.
Abissi 2016 (Portofino Doc da Vermentino e Bianchetta, Classico, Riserva, Linea Exclusive. Sempre lo stesso mare per un pioniere dell’affinamento negli abissi, Bisson, produttore ligure che, da quasi vent’anni, immerge e ripesca le sue bottiglie nella Baia del Silenzio di Sestri Levante con incrostazioni di pesci, granchi, gamberi, conchiglie, un metodo classico che, dopo 18 mesi di buio sottomarino, è luminosissimo, profumato come un prato primaverile, fresco e godibile al gusto. Qui il mare c’è due volte: prima, nel terreno ligure dove crescono le viti, e poi, ancora, durante l’affinamento.
Akènta di Cantina Santa Maria La Palma, ad Alghero, qui si risale a 40 metri di profondità.
Un Vermentino spumantizzato con metodo Charmat, dal naso agrumato e di ginestra, su uno sfondo di erbe aromatiche. Vivace al gusto, in equilibrio tra la dolcezza di fiori e frutti e l’inconfondibile finale salato che ci ricorda i sei mesi passati nel Mediterraneo.
Squilla Mantis di Tenuta del Paguro (Pagurus Squilla Mantis 2015), solo 30 metri di profondità. un Albana secco prodotto nelle colline romagnole e affinato al largo di Cervia, utilizzando, come supporto, la piattaforma petrolifera Paguro, che s’incendiò e inabissò nel 1965. Diventato negli anni un vero reef artificiale, il relitto oggi è una zona di tutela biologica e culla, insieme a pesci e molluschi, di questo vino dorato con note di rosa, tiglio, agrumi e inconfondibili sentori iodati e salmastri di alghe sulla battigia.