lunedì 19 aprile 2021

Metodo ancestrale

 Le caratteristiche dei vini spumantizzati con il metodo ancestrale

Il metodo ancestrale è un metodo di vinificazione che rispetto al Metodo Charmat e Metodo Classico si potrebbe definire il padre fondatore delle bollicine, dal momento che è un processo risalente ai tempi antichi che mantiene una naturalità propria rispetto ai metodi attuali.

L'origine del metodo ancestrale
  • La spumantizzazione con il metodo ancestrale o tradizionale è con tutta probabilità la più antica tra le varie tecniche ancora oggi in uso. La tradizione è infatti che lo spumante ai tempi dei nostri nonni veniva prodotto lasciando rifermentare naturalmente in bottiglia il vino, grazie al residuo zuccherino rimasto dopo il processo di vinificazione. Questo metodo tradizionale è oggi conosciuto come “metodo ancestrale“. Questo metodo di spumantizzazione veniva anticamente utilizzato nella Champagne e portava il vino ad avere maggiore complessità organolettica.
  • Da altre fonti pare che questa antica tecnica fosse partita dalla zona della Blanquette de Limoux, sempre in Francia. Dal momento che non si effettua la sboccatura, questi vini si presentano torbidi con sentori di crosta di pane abbastanza accentuati e dovuti alla maggiore presenza di lieviti. Oggi questo vino spumante “sur lies o “col fondo“è stato riscoperto e aggiornato a più moderni criteri produttivi nell’area di Conegliano-Valdobbiadene, ma pratiche simili sono presenti un po’ in tutta Italia, ad esempio in Emilia con il Trebbiano e i Lambruschi.



Il metodo ancestrale nei dettagli
  • L’elaborazione secondo il metodo ancestrale o tradizionale comincia pressando le uve in maniera soffice in modo da preservare i lieviti autoctoni presenti sulle bucce. La fermentazione avviene poi in recipienti di acciaio inox a temperatura controllata. La temperatura viene in seguito abbassata per rallentare la fermentazione e infine bloccarla. Il contenuto di zuccheri residui deve essere sufficiente a garantire la ripresa della fermentazione dopo l’imbottigliamento senza ulteriori aggiunte di zuccheri e lieviti. La tradizione vuole che si attenda fino a Marzo o Aprile che la temperatura salga quanto basta per far sì che i lieviti comincino la fermentazione degli zuccheri residui, oppure, nel caso di cantine modernamente organizzate, si predispone il controllo della temperatura in modo da far partire la rifermentazione quando desiderato, generando alcol e anidride carbonica. 
  • Gli enzimi e i lieviti presenti nel vino tendono ad inibire la formazione di anidride carbonica in eccesso creando, come dicono i francesi, un vino “petillant”, ossia frizzante. Le bottiglie vanno poi conservate in cantina in ambiente oscuro e in assenza di vibrazioni ad una temperatura attorno ai 12-15°C fino al termine del processo (alcuni giorni). In questo semplice modo si ottiene lo spumante “sur lies” o “col fondo” un vino che può essere bevuto come aperitivo o come vino da tavola. Rispetto ad uno spumante charmant in un metodo ancestrale prevalgono le note lievitate e citrine, l’effervescenza è meno invadente, acidità e sapidità sono marcate ma al tempo stesso piacevoli ed armoniche.

lunedì 5 agosto 2019

Vini con vista mare


Enfin les pieds dans le sable, pensando a quale vino ordinare per pranzo o per cena.

Un terzo dei vini Dop italiani sono “vista mare”. Questo significa, in questa stagione soprattutto, che turismo balneare e turismo enologico si trovano in un felice connubio. Dalle Cinque Terre a Pantelleria, dei vini marittimi, di costa e di isola è una scoperta meravigliosa.  In molti casi saranno le sensazioni sapide – o iodate, se preferite – a guidarvi nella degustazione. Ma, come ricorda il professor Attilio Scienza, Ordinario di Viticoltura presso la facoltà di Agraria dell’Università Statale di Milano, «non è in realtà possibile accertare una corrispondenza tra le sensazioni organolettiche del vino e i caratteri marini del vigneto».

La Toscana delle isole:

  • Le isole in particolare sono un patrimonio di biodiversità enoica. Qui l’agricoltura è spesso faticosa, ma i vini che vi nascono hanno una ricchezza ineguagliabile. L’Elba, la più grande delle isole toscane, vanta un buon numero di produttori, anche se oggi gli ettari vitati, circa 300, sono molto inferiori ai 5mila della prima metà dell’Ottocento. Qui si coltiva soprattutto Ansonica e Trebbiano toscano (o Procanico), tra le uve a bacca bianca, e Sangiovese e Aleatico tra le rosse: proprio l’Elba Aleatico passito è stato il primo vino delle isole minori italiane a ottenere la Docg.
  • Tutto da scoprire l’ottimo Silosò di Arrighi, azienda alle spalle della baia di Porto Azzurro. Il patron Antonio, con la collaborazione proprio del professor Scienza, ha anche lanciato il progetto “Vinum Insulae”, basato sul leggendario vino greco di Chio: l’uva Ansonica è immersa per qualche giorno in mare, in ceste di vimini, per accelerare l’appassimento e preservare gli aromi tipici prima della macerazione in anfora. Proprio come facevano gli antichi Greci. Sull’isola fate tappa anche da Cecilia, azienda a Campo nell’Elba, per assaggiare Ansonica, Vermentino ed Elba Rosso, e alla Tenuta La Chiusa di Portoferraio, con la sua splendida villa patronale che ospitò Napoleone, dove si producono anche un Elba, rosso e bianco, e un Aleatico passito fresco e non stucchevole.
  • La minore dell’arcipelago toscano è invece Gorgona, selvaggia e incontaminata, unica isola-penitenziario in Europa: qui i detenuti possono trascorrere l’ultimo periodo di pena lavorando in vigna, con la collaborazione e la supervisione degli agronomi ed enologi di Frescobaldi. Da questi due ettari piantati a Vermentino e Ansonica nasce così il Gorgona, un bianco dal carattere marittimo, con profumi di macchia mediterranea.

Riflessi sulle colline di Bolgheri:

  • Sulla costa di Bolgheri, si può visitare Tenuta Argentiera, proprietà posta su un altopiano affacciato sull’arcipelago toscano, che ben sintetizza l’essenza della denominazione – soprattutto nelle etichette Argentiera e Villa Donoratico - per la sua vicinanza al mare e per la maggior altitudine media. I vigneti più alti, a oltre 200 metri, beneficiano di una continua brezza e i raggi del sole, che si specchiano nel mare, creano un fenomeno di riflessione che dona alle piante un’ulteriore esposizione, fornendo condizioni ottimali per una crescita sana e regolare.

Storie e aromi di Campania:

  • Anche in Campania molti hanno scelto di fare vino non lontano dal mare. La cantina La Sibilla della famiglia Di Meo lavora a Bacoli, tra il Golfo di Napoli e quello di Pozzuoli: una striscia di terra che poggia su una falda acquifera termale calda e salata, terroir ideale per il Piedirosso e la Falanghina. Ad Ischia, dove la viticoltura assume tratti eroici per via delle caratteristiche orografiche, la cantina pioniera è Casa d’Ambra, a Forio d’Ischia. Il loro vino più celebre è (giustamente) il cru di Biancolella Tenuta Frassitelli, un vino di mare, raffinato e dissetante, dalla sapidità prorompente. 

Vigne e dune in Sardegna:

  • Se siete in vacanza nel nord della Sardegna, tra Castelsardo e Costa Paradiso, raggiungete Badesi, sul cui mare affacciano le vigne della cantina Li Duni. Non a caso, le tre linee di vini si chiamano “Le Maree”, “Le Sabbie” e “Le Brezze”. Espressivo e territoriale – nella sua salinità, con garbate note floreali - è il Renabianca, Vermentino di Gallura Docg da uve coltivate sulla fascia retrodunale, a pochi metri dal mare. A sud-ovest, sull’isola di Sant’Antioco, il terroir consente alla storica cantina Calasetta – come il nome del vicino borgo di case bianche - di produrre dei Carignano gagliardi e complessi, tra cui il Piede Franco (dal metodo di impianto) e la riserva Àina. 

In Sicilia fra venti e vulcani:

  • La Sicilia ha una storia antica anche nella viticoltura di mare. A Menfi, fra sole accecante e venti d’Africa, Marilena Barbera vinifica un’inzolia – vitigno vigoroso e a suo agio negli ambienti salmastri – dai tratti freschi e vibranti e un Nero d’Avola fragrante e snello. Questa viticoltrice rigorosa e appassionata ha da poco scoperto anche una vigna selvaggia che cresce sulle dune e regala (pochi) grappoli sopra e addirittura sotto la sabbia, ricoperti di salsedine. Di vini marittimi ne sa “qualcosa” anche la famiglia Tasca. Sui terreni vulcanici di Salina, nella sua tenuta di Capofaro, si produce la Malvasia delle Lipari, anche nell’ottima versione secca Didyme, da accompagnare ai piatti del resident chef Ludovico De Vivo. 
  • Sull’isola di Mozia, che fu colonia fenicia, la produzione di vino iniziò nell’Ottocento, ai tempi d’oro del Marsala. Qui Tasca d’Almerita – attraverso la Fondazione Whitaker - ha avviato anni fa un progetto di recupero dello storico vigneto di Grillo: si tratta di undici ettari coltivati ad alberello, e potati tipicamente ad archetto “marsalese” per resistere ai venti provenienti dal mare. L’uva è raccolta all’alba, sistemata in cassette, caricata su barche a fondo piatto e trasferita sulla terraferma per trasportarla poi nella tenuta di Regaleali per la vinificazione. 
  • Infine andiamo in volo fino a Pantelleria, dove ammirare l’alberello Pantesco, il tipico modello di allevamento – diventato Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco - che consente di accogliere la vite, proteggerla dal vento e nutrirla con l’umidità della notte che vi si raccoglie e non si disperde. È così che nasce il Passito di Pantelleria, da uve Zibibbo appassite al sole: tra i migliori quello di Marco De Bartoli, quello di Coste Ghirlanda e il Ben Ryé (“figlio del vento”) di Donnafugata, che ha tutti i profumi e il colore dei tramonti della “perla nera” del Mediterraneo.

lunedì 8 luglio 2019

Cantine sommerse

Temperatura costante e pochissima luce. La nuova tendenza dell’enologia scommette su un affinamento fino a 52 metri di profondità, fra Sardegna, Emilia-Romagna e Liguria.
Per vini e champagne con il finale salato di un tuffo fra le onde del mare.

Nel 2010 Dominique Demarville, maestro di cantina per Veuve Clicquot, seppe del ritrovamento di 168 bottiglie naufragate al largo del mar Baltico insieme alla nave che le trasportava, 170 anni prima. All’assaggio, lo stupore; lo champagne era ancora perfetto. Il mare si era rivelato un ambiente ideale per la conservazione di aromi e perlage: temperatura costante tra i 13 e i 15 gradi, pochissima luce, correnti che cullano il vino. Non era la prima volta che venivano recuperate dal mare bottiglie di pregio: nel 1998 ne furono ripescate – e vendute all’asta a prezzi da capogiro – circa duemila, ordinate nel 1916 dallo zar Nicola II e mai arrivate, perché la nave fu affondata da un sottomarino tedesco. Dopo il recupero del 2010, però, grandi Maison, tra cui Louis Roederer, la stessa Veuve Clicquot e Hostomme, con il suo prezioso Abysse, hanno iniziato a sperimentare l’affinamento sottomarino e il fascino di bottiglie con incrostazioni marine che arricchiscono il vetro di una patina romantica e vissuta, come in una storia di pirati. 
A celebrare cotanta straordinarietà la degustazione organizzata da Associazione Italiana Sommelier a Vinitaly. Un’orizzontale sulla linea non degli anni, ma dei metri di profondità, che ha accomunato vitigni e metodi di produzione diversi, tutti affinati sotto l’acqua salata. 

Cloe Marie Kottakis Underwater -52, come i metri di profondità, bollicine francesi, un Blanc de Noirs (Pinot Nero in purezza) della Côte des Bar e si perfeziona nelle acque di Portofino: nasce quindi  dalla collaborazione tra i viticultori francesi e Jamin, titolare dell’unica concessione in area marina protetta di Portofino. Jamin ha creato la cantina sommersa e il brevetto di un sughero che permette l’ossigenazione, ma non la contaminazione. Privilege 18 mesi: un trionfo di mela rossa, pera, torrone, con tocchi di minerale e salmastro. Sarà una suggestione, ma la sapidità finale sembra proprio quella che rimane in bocca dopo un tuffo in mare.  

Abissi 2016 (Portofino Doc da Vermentino e Bianchetta, Classico, Riserva, Linea Exclusive. Sempre lo stesso mare per un pioniere dell’affinamento negli abissi, Bisson, produttore ligure che, da quasi vent’anni, immerge e ripesca le sue bottiglie nella Baia del Silenzio di Sestri Levante con incrostazioni di pesci, granchi, gamberi, conchiglie, un metodo classico che, dopo 18 mesi di buio sottomarino, è luminosissimo, profumato come un prato primaverile, fresco e godibile al gusto. Qui il mare c’è due volte: prima, nel terreno ligure dove crescono le viti, e poi, ancora, durante l’affinamento. 

Akènta di Cantina Santa Maria La Palma, ad Alghero, qui si risale a 40 metri di profondità. 
Un Vermentino spumantizzato con metodo Charmat, dal naso agrumato e di ginestra, su uno sfondo di erbe aromatiche. Vivace al gusto, in equilibrio tra la dolcezza di fiori e frutti e l’inconfondibile finale salato che ci ricorda i sei mesi passati nel Mediterraneo. 

Squilla Mantis di Tenuta del Paguro (Pagurus Squilla Mantis 2015), solo 30 metri di profondità. un Albana secco prodotto nelle colline romagnole e affinato al largo di Cervia, utilizzando, come supporto, la piattaforma petrolifera Paguro, che s’incendiò e inabissò nel 1965. Diventato negli anni un vero reef artificiale, il relitto oggi è una zona di tutela biologica e culla, insieme a pesci e molluschi, di questo vino dorato con note di rosa, tiglio, agrumi e inconfondibili sentori iodati e salmastri di alghe sulla battigia.

lunedì 14 gennaio 2019

Arte profumiera e vini

E' cosa intuitiva che tra arte profumiera e vini c'è un rapporto stretto. Nella prima il senso stesso della propria esistenza è insito nell'oggetto della propria produzione - i profumi appunto - nei vini figura l'ebrezza di coglierne le fragranze, magari provando a metterle in relazione con i vitigni e/o le zone di produzione. 

Come accade con certe fragranze, anche certi vini evocano sentimenti strani, persino contrastanti; in molti casi grandi emozioni, come accade quando si coglie nell'aria un profumo inebriante. E non è forse vero che l'arte profumiera stessa, col suo bisogno di fornire piacere a chi ne usa qualche goccia per sentirsi più attraente, è così simile a quella enologica, nate entrambe per cogliere in un recipiente il miracolo odorifero che la natura compie ogni giorno?

Da queste domande è nato l'evento, in collaborazione con The Merchant of Venice, nota maison di fragranze d’eccellenza. Una platea di una quarantina di persone ha potuto assistere a una degustazione atipica; due vini, un bianco dell’Alto Adige ottenuto dal vitigno gewürztraminer ed un rosso della Romagna ottenuto con sangiovese, sono stati avvicinati a otto profumi, creati dalla casa profumiera, alla ricerca di punti in comune. 

L’approccio olfattivo tra una fragranza ed un vino  è molto simile: in entrambi i casi si odorano le note iniziali, dette di testa, poi i profumi lievemente meno intensi, detti di cuore, e le sfumature finali più garbate, dette di fondo. 

Nei vini bianchi è piuttosto normale e frequente trovare sfumature di fiori e frutti freschi, agrumi e frutta bianca a polpa succosa, spezie delicate ed erbe aromatiche appena colte, come nel Gewürztraminer 2016 di Ritterhofforse il più intenso, il più ricco di sfumature floreali e speziate. Sentori analoghi a due delle etichette veneziane: il Rosa Moceniga, con le sue sfumature di rosa, limone, magnolia, fior di loto, vaniglia e muschio e il Suave Petals, con bergamotto, pesca, fiori d’arancio, rosa bianca e finale di patchouli. 

La terza fragranza, da donna, La Fenice, con le sue note più delicate di mandarino, biancospino, fiori di mandorlo e vaniglia ha mostrato punti in comune con vitigni bianchi più delicati, come il pinot bianco, l’arneis e il nuragus. La quarta, da uomo, Venetian Bluecoi suoi ricordi di bergamotto, mela, limone, ananas, pepe bianco, betulla e muschio potrebbe essere affiancato, invece, a vitigni semi aromatici quali kerner, riesling renano o grüner veltliner.

Anche il Romagna Sangiovese Superiore Riserva Thea 2015 dell’azienda Tre Monti ha rivelato i suoi caratteri più tipici: note terziarie, speziature più intense, caratteri tostati e un fruttato orientato a una maggior evoluzione e lavorazione, come le confetture o la frutta allo sciroppo o sotto spirito. Tra le fragranze che hanno proposto profumi analoghi a quelli del sangiovese ha giocato un ruolo rilevante Arabesque, con le sue rivelazioni di zenzero, prugna, foglia di tabacco, cannella e legno di cedro.

Più potente e tostato, vicino ai caratteri di un syrah o di un nero d’Avola il Mystic Incense: caramello salato, frutta secca, legni, incenso e cacao. LAndalusian Soul, invece, con i suoi aromi di acacia, ambra, rum, vaniglia, affumicature e balsamicità, si colloca a metà strada tra un rosso molto evoluto, magari a base nebbiolo, e un vino dolce da vendemmia tardiva.

Un'esperienza didatticamente preziosa, perché  mettere gli aspiranti degustatori davanti a un profumo inserito all'interno di una fragranza profumiera rende più semplice il suo riconoscimento anche nel vino.